Alle Regioni non può essere riconosciuto alcun potere di rimuovere i limiti massimi di ampiezza del condono edilizio individuati dal legislatore statale.
Lo ha precisato la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 70 dell'11 febbraio 2005, ribadendo il principio già stabilito nella sentenza n. 196/2004 secondo cui solo alla legge statale spetti l’individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario di cui all’art. 32 del DL n. 269/2003, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili.
(Altalex, 15 febbraio 2005)
SENTENZA N. 70 ANNO 2005
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 125, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promosso con ricorso della Regione Marche, notificato il 24 febbraio 2004, depositato in cancelleria il 3 marzo 2004 ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 2004.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2004 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche e l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – La Regione Marche, con ricorso notificato il 24 febbraio 2004 e depositato il 3 marzo 2004, impugnando numerose disposizioni della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), ne ha censurato, tra l’altro, l’art. 4, comma 125, in relazione all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione.
La ricorrente premette che la norma impugnata ha modificato l’art. 32, comma 27, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), sostituendo la disposizione contenuta nella lettera g). La nuova norma prevede l’esclusione dalla sanatoria edilizia, introdotta dall’art. 32 del citato decreto-legge, non solo delle opere realizzate nei porti e nelle aree appartenenti al demanio marittimo, ma anche di quelle realizzate sul demanio lacuale e fluviale, nonché sui terreni gravati da diritti di uso civico. In tal modo, lamenta la Regione ricorrente, la disposizione impugnata avrebbe introdotto una disciplina di dettaglio per individuare le zone escluse dalla sanatoria, così determinando una lesione della sfera di competenza legislativa regionale di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, se ed in quanto la disciplina sia riferibile alla materia edilizia, “e comunque della competenza legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione”, nel caso in cui si accogliesse l’interpretazione che riconduce l’edilizia alla materia “governo del territorio”.
2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della censura prospettata dalla Regione. Sostiene infatti l’Avvocatura che il demanio idrico apparterrebbe tuttora allo Stato e che gli usi civici avrebbero “valenza prevalentemente ambientalista”, così che la disposizione impugnata atterrebbe a materie riconducibili alla potestà legislativa esclusiva dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, della Costituzione, e precisamente nella lettera g) – “organizzazione amministrativa” – e nella lettera s) – “tutela dell’ambiente”.
3. – In prossimità della data fissata per l’udienza pubblica l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria nella quale ribadisce, in linea generale, le argomentazioni svolte nell’atto di costituzione. In particolare, la difesa erariale osserva che la disposizione censurata fa parte della disciplina del condono edilizio, circoscrivendone ulteriormente l’ambito rispetto all’originario testo dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003; ciò, tuttavia, non si porrebbe in alcun modo in contrasto con la potestà legislativa regionale, dal momento che – sulla base di quanto affermato dalla sentenza di questa Corte n. 196 del 2004 – la “chiave di accesso” al condono sarebbe da considerare “nelle mani dello Stato posto che solo il legislatore statale può incidere sulla sanzionabilità penale”. La Regione dunque non potrebbe ampliare l’ambito del condono edilizio, la cui estensione massima sarebbe rimessa esclusivamente alla legislazione dello Stato.
Inoltre, aggiunge l’Avvocatura precisando la tesi già sostenuta nell’atto di costituzione, la disposizione impugnata, in quanto esclude il condono delle costruzioni realizzate sul demanio idrico (lacuale e fluviale) e sul demanio marittimo (per la parte di esso non considerata nel testo previgente della lettera g in questione), inciderebbe su beni tuttora appartenenti allo Stato e sui quali graverebbe il vincolo paesaggistico introdotto con il decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, ciò che giustificherebbe l’intervento statale sulla base dell’art. 117 secondo comma, lettere g) e s), della Costituzione. Quanto ai terreni gravati da diritti di uso civico, la difesa erariale ribadisce che agli usi civici sarebbe stata ormai riconosciuta una valenza prevalentemente ambientalista, di talché le competenze amministrative delle Regioni al riguardo (tra le quali non vi sarebbe certamente quella di sanare o denegare la sanabilità degli edifici o degli ampliamenti di edifici abusivamente realizzati) dovrebbero comunque ritenersi subordinate alla salvaguardia dei “valori” la cui tutela è affidata allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Considerato in diritto
1. – La Regione Marche, impugnando numerose disposizioni della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), ne ha censurato, tra l’altro, l’art. 4, comma 125, in relazione all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione.
In particolare, la ricorrente lamenta che tale disposizione – escludendo dal condono edilizio di cui all’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), non solo le opere realizzate sul demanio marittimo, ma anche quelle realizzate sul demanio lacuale e fluviale, nonché sui terreni gravati da diritti di uso civico – individuerebbe le zone escluse dalla sanatoria introducendo una disciplina di dettaglio. Ciò, nella prospettazione della ricorrente, violerebbe la competenza legislativa regionale di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, se ed in quanto la disciplina in questione fosse riferibile alla materia “edilizia”; nel caso in cui si accogliesse l’interpretazione che riconduce l’edilizia alla materia “governo del territorio”, risulterebbero invece violati i limiti posti alla competenza legislativa statale di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Per ragioni di omogeneità di materia, la questione di costituzionalità indicata deve essere trattata separatamente dalle altre, sollevate con il medesimo ricorso, oggetto di distinte decisioni.
2. – La questione non è fondata.
3. – Nelle more del presente giudizio, infatti, questa Corte si è pronunciata con la sentenza n. 196 del 2004 sui ricorsi di alcune Regioni (tra le quali anche l’odierna ricorrente) avverso le disposizioni contenute nell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003. Tale decisione ha chiarito che la disciplina del condono edilizio deve ritenersi riconducibile alla materia “governo del territorio” di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione e che, tuttavia, dal momento che solo al legislatore statale spetta il potere di incidere sulla sanzionabilità penale, a quest’ultimo va riconosciuta la discrezionalità in materia di estinzione del reato o della pena, o di non procedibilità (sentenza n. 196 del 2004, punto 20 del Considerato in diritto). In quest’ottica, nella citata sentenza si è ritenuto che solo alla legge statale spetti l’individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario di cui all’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili. Sulla base di tali premesse, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, di alcuni commi del richiamato art. 32 e in particolare, per quanto rileva in questa sede, del comma 25 e del comma 26. La dichiarazione di illegittimità costituzionale non ha invece toccato il comma 27, contenente la previsione delle tipologie di opere insuscettibili di sanatoria, e ciò coerentemente con l’assunto secondo il quale alle Regioni non può essere riconosciuto alcun potere di rimuovere i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal legislatore statale.
La disposizione censurata nel presente giudizio è conforme alla ratio e alla funzione del predetto comma 27 nel testo già scrutinato da questa Corte, limitandosi ad estendere – all’interno della novellata lettera g) di tale comma – l’esclusione dal condono a tutte le opere “realizzate nei porti e nelle aree appartenenti al demanio marittimo, lacuale e fluviale, nonché nei terreni gravati da diritti di uso civico”. Non vi è dunque alcuna ragione che possa indurre ad un mutamento di quanto già affermato nella sentenza n. 196 del 2004.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 125, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), sollevata dalla Regione Marche, in relazione all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2005.