Il rigetto delle domande di concessione edilizia presentate in sanatoria è legittimo ma a condizione che le motivazioni, comprese quelle dei soggetti chiamati a esprimere pareri, siano analitiche.
È questo il principio stabilito dalla sesta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 novembre n. 7785.
La sentenza annulla definitivamente il provvedimento con cui il comune di Trieste ha rigettato la domanda di condono edilizio presentata da un cittadino per una tettoia-Iegnaia costruita senza concessione edilizia in una zona soggetta a vincolo paesaggistico.
In ragione di questa collocazione il comune ha trasmesso la richiesta alla regione per acquisire, come da normativa regionale, il parere della commissione consultiva per i beni ambientali. Sulla base del parere negativo espresso da tale commissione il comune del capoluogo della Venezia Giulia ha denegato la domanda e ha ordinato la demolizione del manufatto.
Il parere negativo della commissione per i beni ambientali si è basato sulla preventiva valutazione della documentazione prodotta e ha, in particolare, «considerato che i materiali non paiono proporsi come decorosa sistemazione di manufatti ancorché accessori».
Ed è stato motivato in ragione del fatto che «le opere in oggetto, per materiali costruttivi di discutibile livello qualitativo nonché per tipologia costituiscono una indebita proliferazione di occasionali manufatti degradanti l'ambiente tutelato».
Questa motivazione è stata "bocciata" dai giudici di Palazzo Spada, che hanno peraltro confermato quanto stabilito in primo grado dal Tar del Friuli Venezia Giulia con la sentenza n. 534 del 27 aprile 1999. Alla base di questa decisione c'è la considerazione che il parere espresso non risulta adeguatamente motivato e si articola su considerazioni apodittiche: «È noto come nell'ambito del complesso procedimento di sanatoria e soprattutto nel contesto del condono edilizio (le cui peculiari ed eccezionali finalità tendono a recuperare il dilagante fenomeno dell'abusivismo), l'amministrazione debba compiere una specifica e articolata istruttoria che consenta di ricostruire le ragioni poste a fondamento. del relativo provvedimento conclusivo. E in particolare quando nell'ambito di una procedura di condono l'amministrazione svolge una valutazione negativa, proprio in relazione a quelle finalità di recupero a cui l'eccezionale procedura è improntata, essa deve rendere una motivazione sulla base della specifica istruttoria espletata, con puntualità di riferimenti alle ragioni tecnico valutative che impediscono nella fattispecie il rilascio della concessione in sanatoria».
Nel caso specifico, a giudizio del Tar e del Consiglio di Stato, non si è invece adempiuto a questi obblighi.
Infatti, «il provvedimento di diniego impugnato deve ritenersi illegittimo perché i pareri consultivi sui quali si fonda, non esternano in maniera compiuta e puntuale le ragioni per cui l'Amministrazione abbia ritenuto di opporre il contestato diniego; in particolare tali pareri e il relativo provvedimento finale non esplicitano alcun concreto riferimento allo stato dei luoghi né alcuna valutazione sulla specifica tipologia dell'opera e dei materiali scelti per una sua migliore compatibilità né da ultimo, viene rilevata la circostanza che la tettoia contestata non era comunque visibile dall'esterno ed era specificamente mimetizzata dalla vegetazione. Aggiungasi poi che tutta la valutazione svolta dall'Amministrazione si risolve solo in formalistiche e apodittiche affermazioni sulla ritenuta generica incompatibilità dell'opera». Siamo cioè dinanzi a una serie di motivazioni analitiche, circostanziate e non generiche che costituiscono un vincolo sia per i comuni, soggetti competenti al rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria, che per le strutture preposte al rilascio dei pareti. Motivazioni che devono essere ben presenti per il rigetto delle domande di concessione siano esse presentate in forma ordinaria che in sanatoria.
Il Sole – 24 Ore, 14.12.04